Editoriale: Cos'è il design?
Osservatorio - PoliMi

Editoriale: Cos'è il design?

Scrivere una definizione di design adatta alla contemporaneità significa parlare dell’esperienza materiale tangibile e intangibile dell’uomo all’interno dell’ambiente in cui egli recita il ruolo di soggetto/autore. 

di Stefano Maffei

 

Come sostiene Herbert Simon, il design è un’attività processuale volta alla realizzazione di una trasformazione che ha lo scopo di creare “... qualcosa di nuovo (o rimodellare qualcosa che esiste) per uno scopo, per soddisfare un bisogno, per risolvere un problema o per trasformare una situazione poco desiderabile in una più congeniale” (Le scienze dell’artificiale, 1988).

 

Il design è un processo che va dall’astratto al concreto. Questo processo ha esplorato i confini della nostra esperienza che, come sostiene Victor Margolin consiste, come ‘specie’, nella produzione dell’artificiale: “…se consideriamo il design come ideazione e progettazione dell’artificiale, allora il suo fine ultimo e i suoi confini sono intimamente intrecciati con la nostra comprensione dei limiti dell’artificiale” Artificiale che spesso, nella società contemporanea, è intangibile, anche se reale.

 

Siamo una società dei servizi: interagiamo quotidianamente con questi luoghi dell’esperienza in cui la dimensione analogica vincola in maniera sostanziale la sua stessa ‘memorabilità’. A essa si aggiunge la dimensione digitale che ha cambiato l’orizzonte del design, dimensione che configura una macchina globale che produce e trasforma scavalcando la dimensione dell’umano.

 

In questo scenario, il design può quindi essere visto come una prospettiva azionata autonomamente dall’artificiale per l’artificiale, ovvero attraverso l’indipendenza dell’azione di evoluzione delle macchine materiali e virtuali (software) e dei network che le collegano, come una sorta di nuova società di sistemi tecnologici.

 

Il tema dell’evoluzione del design entra nella sfera della discussione dell’umanesimo stesso: Rosy Braidotti parla di ‘postumano’ come della nuova categoria filosofica in cui dobbiamo situare l’esperienza umana. L’alternativa è meno distopica e più utopica: il progetto deve entrare in una prospettiva sistemica in cui i designer possano ampliare la loro scala d’azione. È la prospettiva di un ruolo ecologicamente sistemico del design che agisce su un mondo legato dall’interdipendenza radicale. E quindi la sua azione deve costruire una nuova traiettoria che inserisce di nuovo la complessità e i sistemi tra gli elementi che la cultura del progetto deve discutere nella sua evoluzione futura. Una idea di futuro che scorre come una vena nascosta all’interno dell’immaginario politico del design: il critical design e lo speculative design che affrontano il futuro dell’umanità e delle sue sfide potenzialmente distopiche e generano una design fiction e degli artefatti che discutono lo status quo sociale, economico e culturale in cui viviamo. Per cambiare il mondo dobbiamo anche cambiare la società in cui viviamo.

 

L’attitudine del design alla soluzione dei problemi si trasforma quindi nell’era dell’incertezza e della fine delle utopie di tutti i tipi (sociali, religiose, filosofiche): il designer non è più un risolutore ma cercatore di problemi. Dobbiamo reimmaginare, quindi, il ruolo progetto nelle sfide che minacciano il pianeta: dobbiamo ridiscutere l’idea di umanesimo e il nostro ruolo di costruttori dei destini del mondo. Un mondo con una limitatezza di risorse e una crisi di biodiversità che deve per forza immaginare un futuro circolare e anche una visione multispecista.

 

Infinitamente grande, infinitamente piccolo, altro da noi, intangibile e materiale allo stesso tempo. Sicuramente più giusto. Ecco quello che stiamo cercando. 

 

 

L'autore:

 

Stefano Maffei (Milano, 1966) è architetto e Ph.D in design. Professore ordinario presso la Scuola del Design del Politecnico, è direttorte di Polifactory e dei Master in Service Design e Design for Food. Polidesign.

 

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