L’estetica del sentire e non dell’apparire
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L’estetica del sentire e non dell’apparire

I cambiamenti nella sfera domestica, il rapporto fra casa e ufficio, la sostenibilità, l’importanza del colore, l’obsolescenza dei prodotti. E una vision personale – e vincente - rispetto al design del piccolo elettrodomestico. Una chiacchierata con Raffaella Mangiarotti, architetto e designer 

 

La riorganizzazione degli stili di vita coinvolge anche la progettazione: nuovi modelli, soluzioni e spazi. Quali le soluzioni da riconfigurare?

Nei miei progetti per il settore ufficio mi sono spesso ispirata a quello che è il comfort della casa. Ho sempre pensato che la casa fosse più interessante dell’ufficio, soprattutto da quando si lavora senza carta, con le tecnologie leggere.

 

A casa puoi scegliere, a seconda dell’attività che fai, dove sederti, se stare alla scrivania per disegnare o stesa sul divano a leggere. Se ti chiudi in camera o ti metti in soggiorno, dai indicazioni chiare sulla necessità di privacy o di condivisione. Nell’organizzazione domestica in qualche modo abbiamo precorso l’organizzazione per funzioni dell’ufficio. In casa poi è sempre stato importante il comfort e il benessere. In realtà, però in ufficio spendiamo il tempo migliore della nostra vita, quello in cui siamo svegli.  Per questo motivo ho sempre pensato che l’ufficio dovrebbe essere un luogo bellissimo, in cui le persone si sentano bene, si sentano a casa. Cerco di disegnare spazi accoglienti e aperti, in cui le persone scoprano il piacere di stare insieme ma che rispettino anche il desiderio di intimità e raccoglimento. Mi interessa una estetica più vicina al sentire che all’apparire.

 

 

Il mondo del progetto sta affrontando una nuova normalità…

Penso sia una normalità non normale. Ho sempre pensato che la casa potesse essere un modello di riferimento per l’ufficio, ma non ho mai pensato che lavorare a casa fosse il punto di arrivo. Lavorare in casa non è interessante. È comodo e utile in certe situazioni, in certi momenti. Ma soprattutto nelle grandi metropoli, dove la casa è spesso più piccola per motivi economici, non è adatta ad accogliere le attività di persone con età e necessità diverse.

 

Condividere gli spazi non è semplice, soprattutto per motivi di privacy. Non sappiamo ancora gestire gli “effetti collaterali” delle tecnologie che usiamo, come ad esempio la privacy nelle presentazioni. Un esempio banale: se l’interlocutore non usa un auricolare e tu tratti una questione riservata, potresti non sapere quante persone sono presenti nella sua stanza e ti stanno effettivamente ascoltando. 

 

Il lato positivo è che però abbiamo capito che si può lavorare da casa e anche molto, e che può essere comodo avere una parte di lavoro in remoto per dedicare più tempo alla famiglia e ai propri interessi, migliorando la qualità della vita privata.

 

Credo che in futuro ci sarà una maggiore integrazione tra lavoro in ufficio e in remoto. Si tornerà volentieri in ufficio per condividere, per rivivere la bellezza di incontri e scambi di idee spontanei, che poi sono la materia prima del nostro lavoro di designer.

 

 

Come è stata la tua attività professionale in questo ultimo anno?

Il lavoro nel settore arredo durante la pandemia è stato un po’ rallentato dalla mancanza delle fiere e alcune collezioni che stavano già uscendo, sono state posticipate.

 

Ho lavorato molto sulla mia art direction di IOC Project Partner, la divisione ufficio di Lema, e a nuovi prodotti per diverse aziende del settore arredo. Tra queste c’è un progetto che mi entusiasma molto e spero di fare al meglio.  Ho lavorato molto sulla collezione dei Piccoli elettrodomestici Smeg con Matteo Bazzicalupo.

 

 

 

Il boom dei piccoli elettrodomestici di questo ultimo anno è un trend destinato a consolidarsi: come stanno evolvendo la progettazione e l’utilizzo di questi oggetti?

La vendita dei Piccoli è letteralmente esplosa durante la pandemia. Non potendo andare più al ristorante, si è speso più denaro in piccoli elettrodomestici per semplificare la vita domestica. Il progetto era già partito nel 2014 con un successo sbalorditivo. Noi stessi non ce lo immaginavamo. Oggi fattura una quota molto rilevante del fatturato dell’intera azienda.

 

 

È un progetto che è segno del tempo?

Io non l’ho mai vista veramente fifty style o retro. Quando la proprietà ci ha chiesto di interpretare il frigorifero Fab, per noi non è stato semplice: noi venivamo da un’esperienza su prodotti sempre molto innovativi. Quindi abbiamo cercato di interpretarla nel modo più contemporaneo possibile. Come nel mondo della moda, è un mix di elementi tra la memoria e la contemporaneità.

 

Rispetto al Fab, abbiamo smussato le forme e dato più dolcezza alle linee. Mentre il Fab è costruito da linee dritte e curve, le linee dei Piccoli sono basate sulla geometria continua della superelisse, estremamente armonica, ereditata da studi fatti dallo scienziato Piet Hein.

 

Nel conferire un’estetica distintiva ai prodotti, abbiamo voluto creare quasi dei piccoli personaggi che esprimessero più che potenza, dolcezza e simpatia.

 

Volevamo degli oggetti da tenere sempre sul piano della cucina. Ed è andata molto bene: continua ad essere una collezione da record con un successo che ci ha lasciati quasi sbalorditi.

 

 

Cosa rende iconico un prodotto?

Non è facile capire come realizzare un’icona, io penso che disegnare un’icona sia un “accadimento”. È una convergenza dove il designer ha solo una quota parte della responsabilità. Succede quando disegni la cosa giusta per l’azienda giusta, e l’azienda ci crede fermamente e investe nello sviluppo, nella comunicazione e nella distribuzione.  È un gioco di squadra e la squadra è fondamentale per il successo. Come designer ci devi mettere il 100% di te stesso per arrivare a questo obiettivo. Il design è una avventura e hai tante strade che puoi percorrere.  Io cerco sempre di trovare una strada che mi porti a un oggetto che sia di accompagnamento nella vita, che pur avendo una personalità, non sia un oggetto “wow” che dopo pochi anni ti possa annoiare. Vorrei entrare in punta di piedi ma lasciare un oggetto meno gridato e che duri nel tempo. Questa per me è sempre stata una cosa importante.