Rilocalizzazione e nuova normalità
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Rilocalizzazione e nuova normalità

L’aumento dei prezzi dei trasporti sta rallentando le operazioni di spedizione e consegne, con conseguenti rincari sulle merci provenienti dall’area asiatica, in particolare la Cina e Far East. Quanto il consumatore sarà disposto a pagare per avere un prodotto Made in Europe o Made in Italy?

Sulla spinta del new normal dettato dall’emergenza sanitaria, le imprese rivedono i propri modelli di business in chiave sostenibile e digitale. La supply chain volge lo sguardo verso le produzioni europee e italiane.

 

L’attenzione della nuova edizione di HOMI si rivolgerà anche ai temi attuali del reshoring, della produzione interna e del saper fare italiano.

 

Quali sono quindi gli scenari che si stanno delineando in termini produttivi dopo la globalizzazione e la delocalizzazione? L’aumento dei prezzi dei trasporti sta infatti provocando rallentamenti nelle operazioni di spedizione e consegne e le aziende sono alla ricerca di partner distributivi più prossimi, interrompendo i deal con i fornitori esteri. Il rincaro coinvolge infatti merci provenienti dall’area asiatica, in particolare la Cina e dal Far East (si parla di rincari fino al 150%).

 

In questo nuovo scenario si guarda con nuova attenzione alla produzione locale, al Made in e alla valorizzazione dei territori, delle specializzazioni di ogni distretto italiano e delle sue comunità. A loro l’onere di continuare a dare impulso alla creatività e ai marchi tricolori. Mentre ai player quello di ripensare i criteri del reshoring in Europa e in Italia. Nel segno di una rivoluzione dell’artigianalità che è già in atto.

 

La parola a Clemente Bugatti - Amministratore Delegato di Ilcar di Bugatti : «In merito al reshoring cogliamo alcuni trend sul mercato contrastanti. Vi sono molte catene di negozi importanti, in particolare in Italia, che mostrano il desiderio di poter acquistare prodotti realizzati in Italia.

 

Questo ha sicuramente impatti positivi, in primo luogo, perché porta i buyer a privilegiare fornitori e prodotti italiani, accettando di riconoscere il premium price collegato a questi prodotti, che non può essere assolutamente comparabile con i prezzi asiatici.

 

In secondo luogo, porta le aziende produttrici italiane a riaprire alcuni reparti chiusi in alcuni casi da anni, facendo riemergere la cultura del saper fare, un patrimonio molto importante che rischia di scomparire.

 

A dispetto di questo fenomeno, per certe tipologie di prodotti - non poche - i buyer di queste catene ragionano a soglie di Prezzo al Pubblico percepito, che nel corso degli anni è stato continuamente abbassato per potersi accaparrare spazi di mercato. Questo ha fatto sì che sopra certi prezzi "psicologici" non vogliono/possono andare e, quindi, chiedono ai fornitori italiani dei prezzi non oltre un 5% in più dei prezzi asiatici.

 

Ne consegue che a volte piccoli produttori siano spinti a realizzare il prodotto al prezzo indicato dai buyer, non rendendosi conto che a lungo andare si innestano dinamiche malsane perché questi produttori poi, se non guadagnano, non possono reinvestire e crescere.

 

Per far ripartire la produzione di certi prodotti che da decenni non sono più realizzati in Europa ci vuole una condivisione dei valori tra tutti gli attori della filiera, dai produttori fino ai distributori e consumatori. E con la chiara consapevolezza che i manufatti, sempre più sostenibili e fatti in Italia, costano di più rispetto a quelli realizzati nei paesi emergenti e hanno necessariamente un premium price».